Se c’è un posto controverso nel mio cuore, è quello dedicato alla terra della metà delle mie origini: la Basilicata.
Terra verde in primavera e arsa d’estate, terra di fatica, di fuochi e stoppie bruciate, di orgoglio e antica miseria, di quella che indurisce un po’ i cuori e la pelle delle mani dei nostri nonni e bisnonni, gente che non teme la fatica ed ha enorme etica del lavoro.
Per me è sempre stata una terra di viaggi, nella golf di papà, ad agosto, dopo il mare, durante l’infanzia, di ricordi di giochi sul gradino grande di marmo dello studio accanto alla cucina, di prigionie lunghissime quando avevo 15 anni, chiusa in camera, a leggere Eco, Fogazzaro, Baudelaire, e a rifiutare la metà del cibo che ai miei occhi di adolescente era sempre troppo e a quelli di bambina era sempre strano…
Ricordo l’odore dell’aceto delle conserve o di qualche preparazione in cucina, quello delle lasagne con le polpettine di nonna, quello della parmigiana, della scamorza fritta, e quello dolciastro, all’epoca così invadente, della “Salsa”, la meravigliosa passata di pomodoro che invadeva le strade e le cantine di Melfi, nel caldo di agosto, quando il pomodoro è all’acme, e tutte le donne sono arruolate a girare, mescolare, imbottigliare.
Ciabatte e vestaglia da casa, a fiorellini, capelli raccolti.
Sono le stesse vestaglie e gli stessi capelli raccolti della mia vicina dell’altro lato della strada. La ragazza mia coetanea che io osservavo sempre pulire il portone e le scalette davanti casa dalla finestra della cucina di nonna, mentre guardavo gli uccellini in gabbia.
Leggevo allora Boudelaire con più forza e più rabbia, e mi dava fastidio tutto.
La mia, di gabbia (io lì a leggere e le amiche del ginnasio con i fidanzatini al mare, perché sì, io non li pulivo mica i gradini di casa, noi anzi eravamo coccolate e vezzeggiate dai nonni, ma sempre per metà del Sud la mia educazione è stata… diciamo metà Sud Italia e altra metà collegio Svizzero ;)), il giro dei saluti ai parenti che quasi mai ricordavo o conoscevo, l’odore dell’aceto che veniva dalla cucina, il piatto di lasagne che mi pareva ogni volta enorme, quella lingua strana e difficile da capire, e la fatica emotiva e la timidezza (quando eravamo più piccoline) di vedere i nostri nonni solo una o due volte l’anno (e altrettanta fatica e dolore nel salutarli poi, dal vetro di dietro dell’automobile, al ritorno nelle Marche..).
Poi diventi grande e cominci a mescolare la mancanza con la malinconia, e infine (complice forse anche la distanza, o la cucina ;)) cominci a capire la forza di un odore, di un sapore.
Ecco cosa amo della cucina: è capace di scaraventarti in un attimo in un luogo, in un tempo.
Ed ecco il mio modo controverso di amare la Basilicata.
Quando mi hanno assegnato il tema del menù lucano per il numero questa settimana in edicola di Ci Piace Cucinare, all’inizio mi sono spaventata.
Che strano, no? Ho cucinato quello marchigiano (la regione in cui sono nata), poi quello romano (la regione in cui ho vissuto tanti anni), ma all’idea di cimentarmi in quello lucano mi sono messa pensiero.
Sono riaffiorate le sensazioni di quella bambina “mezzosangue” che è di questa terra senza però abitarci davvero.
Poi, al telefono, mia zia: “Ma come? sono tutte ricette così semplici!”
E’ vero… sono semplici, sono povere, ma per me hanno un portato enorme..
Così ho iniziato e cucinare, a impastare, ad annusare.
Ringrazio questi menù che sto “preparando per lavoro”, perché la cucina delle nostre origini ha una forza senza eguali, ed io confesso di essermi commossa.
Quando ho assaggiato gli strascinati mi è scappata è più di una lacrima. Per la meraviglia che scaturisce da un sapore dell’infanzia, con tutto il suo portato di storia e ricordi e origini.
Sono col sugo di carne, lo stesso che da piccola mal sopportavo, così ricco di sapore, e che adesso assaggio quasi con avidità. Di sapori, di odori e di ricordi.
Per me questo è il miracolo della cucina. Il “ritorno al futuro” al contrario, la magia di avere tutti accanto di nuovo all’improvviso, i legami familiari e quelli territoriali.
Ecco quindi che qui sul blog oggi vi lascio una finestrella aperta per sbirciare il menù lucano che da ieri a lunedì prossimo trovate in edicola.
Gli strascinati al sugo di carne con “ricotta secca”, e il miracolo del pancotto con le cime di rapa, in una delle infinite versioni che potete trovare in Basilicata (anche a seconda della stagione e della disponibilità della dispensa), ma anche fino alla puglia: un cibo umile che è per me la summa di questa terra meravigliosa alla quale un po’ appartengo.
Sulla rivista, a completare il menù, il baccalà alla potentina che campeggia in copertina, e gli amati “cuculicchi” con zucchero e vincotto che da piccole (e anche ora!) io e le mie sorelle adoravamo..
Sono orgogliosa di essere per metà lucana, orgogliosa per tutte le volte che ho viaggiato in treno col caciocavallo, i peperoni ripieni e le salsicce secche che mia nonna mi inzeppava nello zaino, intenerita per averla sentita brontolare mille volte “sei troppo magra, bevi meno acqua che quella ti riempie e poi non mangi più”, e felice di avere i brividi ogni volta che sento quell’odore di terra bruciata dal sole e lavorata con fatica dagli uomini.
Colonna sonora, in carta ;-P
I fuochi del Basento, Raffaele Nigro
Mille anni che sto qui (Super ET), Mariolina Venezia
Virginia
Rossella, grazie per aver condiviso il lato emotivo di questo menu, forse più importante dei piatti stessi, e un altro pezzo importante di te… Mi piace tanto quando scrivi questi post perchè mi sembra di vederti mentre racconti queste cose e perchè mi permette di conoscerti un po’ di più :-)
P.S.: Non ho mai dimenticato quei peperoni ripieni e sono uno dei motivi per cui immagino che in Basilicata si mangi divinamente <3
Rossella
Virginia ti ricordi i peperoni???
Quelli li aveva fatti nonna con le sue mani… non erano perfetti?
Grazie per questo commento, ero così in dubbio per questo post che ha una formula un po’ diversa dal solito…
Grazie grazie grazie!
:-*
Emanuela Lupi
Allora… quando fotografi dipingi, quando scrivi parli, ma… quando scrivi di te… a me vengono ancora di più i brividi e non ce la posso fare..perché ti vedo lì così vera, incazzata nel leggere “Le fleur du mal” e nel pensare alle “bellezze al bagno”.. innervosita davanti a quelle lasagne,intignita (la tigna noi sappiamo cos’è vero?) , costretta in un posto allora scomodo e che magari adesso sarebbe un buon rifugio…
Io non ce la faccio a commentare quando tu scrivi di te.. non riesco a dire le scemenze di sempre…perché alle volte anche le cretinelle hanno u cuore morbido…
a me vengono in mente le mille e mila ore di macchina per raggiungere la Sicilia di mio nonno, rigorosamente in mezzo nel sedile posteriore (in mezzo a due frateli e in mezzo al sedile) che non puoi appoggiare la testa per dormire e quindi stai li proiettata in avanti che se te fanno una frenata vedi mo’ ndo arrivi… stretta, con le ginocchia chiuse e il fratello tutto bello spaparanzato…
partenza alle due del mattino per viaggiare di fresco e col buoi, ma tanto te ce voino più de 12 ore e l’afa te chiappa comunque..poi il traghetto, la fila interminabile per prenderlo…le strade con la terra rossa come nel far west (mi sentivo sempre in uno dei film western che guardavo con mio nonno la sera, quando scendevo in Sicilia) per poi arrivare dalla zia Pippa e mangiarmi i maccheroni col sugo rosso e il pane col buco fatto nello stampo a ciambella con la semola e quindi giallo come il sole… mi vengono in mente gli scalini della casa in cui eravamo ospiti (di una cugina di mamma) dove giocavo con le mie cugine di non so che grado, am che avendo più o meno la mia età erano cugine e basta….oddio Ross starei qui a intasarti il post parlando del carretto siciliano dove salivo tutte le sere per fare il giretto in piazza, ma soprattutto…(ed ho la pelle d’oca) per accompagnarti nella casa della nonna Mara (la mamma di mio nonno), che all’ingresso aveva un’enorme pianta di gelsomino che io succhiavo golosa come non mai….Oddio Ross mi vien da piangere… ti adoro quando scrivi ste cose… mannaggia a te, all’aceto e alle lasagne….
non sei normale e ti adoro sempre di più…
Manù
Rossella
Manù.
Altro che non sai commentare..
Hai scritto una poesia. E mi hai fatto morire, mi ti vedo in mezzo sì sedili posteriori, in quello spazietto scomodissimo che chi sta de là e de qua mica si rende conto di come stanno i piccoletti al centro… e poi quella cosa di partire prima ma che poi il caldo per strada te chiapoa comunque… ;)
Sí, intignita. Hai detto bene. A non volere un cibo che ora sarebbe un buon rifugio.
Prosa bella come una poesia, la tua…
Notte notte… :-*
Chiara (IoeChiaramella)
Cara Ros, e chi può capirti meglio di me! 3 anni in Lombardia, 24 in Puglia, quasi 11 nelle Marche, ora di nuovo la Lombardia. Io sento dappertutto odori che mi ricordano posti, persone e momenti…
un abbraccio
Rossella
Eh lo credo bene…
E anche io capisco te.. Sempre con la valigia tutte e due.. ;) :-*
Giulia
ma quanto è bello tutto questo, quanto? io che ti ho conosciuta in questo mondo virtuale con i calzoncelli, potrei averti incrociata in qualche agosto di tanti anni fa alla villa. Chissà se mi hai mai vista, bambina ricciolina, stretta alle mani grandi di nonno, anche io intimorita da una lingua che non capivo, ma irretita dalla scamorza cotta con l’uovo, dalle fette di pane salate, salate!, e dai tarallini dolci ricoperti di glassa.. che ricordi Ross, che magia!
Rossella
Ohiiii..
I taralli dolci ricoperti di glassa… e lo sai che il mio primo svenimento epocale a 17 anni è stato (a detta del mio medico ;)) a seguito di una enoooormeee scamorza fritta con l’uovo che avevo mangiato con tanta contentezza? ;-P