A parte il fatto che da quando ho deciso di cercare di fotografare (quasi tutto) quello che cucino (ivi compreso anche il comune desinare che a ben ragione sarebbe anche il motivo per cui da 13 anni esiste questo blog), passo un sacco di tempo qui a raccontarvelo, con il risultato che tutto ciò mi piace assai e mi sa tanto di revival dei primi pionieristici tempi del blog appunto, sono un paio di giorni che mi arrovello sulla ricetta delle castagnole marchigiane al miele.
(nel revival ci metto anche le frasi chilometriche che nemmeno le virgole sono in grado di scandire e che testimoniano tutto il mio entusiasmo ;))
Le castagnole marchigiane al miele sono come si può facilmente arguire dal nome uno dei fritti tipi della tradizione carnevalesca delle mie parti, e non c’è bambino marchigiano che non ne conosca e ne ami follemente anche solo il suono del nome.
Ora c’è anche da dire che alla voce “castagnole” basta allontanarsi di un campanile, qui (ma che dico di un campanile, da un portone all’altro!), che le indicazioni cambiano dal giorno alla notte.
Per semplificarmi la vita, ma anche perchè adoro tutto ciò, qualche giorno fa su Instagram (esattamente in questo post qui) ho chiesto ai lettori un aiuto proprio in merito a tale ricetta, e se avevano una versione “di casa” da darmi per i miei studi del week end appunto dedicati a tale amabile e tradizionale preparazione.
Dopo aver preso in esame 3-4 libri di cucina tradizionale marchigiana, svariati link inviati da amiche fidate e molti foglietti autografi delle vostre nonne (cosa che mi ha davvero commossa e mi è piaciuta tanto) posso dire che in tanta diversità c’è tuttavia qualcosa che fa da comune denominatore a quasi tutte le ricette che ho letto: la dicitura “quanta ne raccoglie” alla voce farina.
Ora, grossolanamente, per una ricetta standard di castagnole parliamo di quantitativi di farina che vanno dai 320 a 500 g (per capire l’ordine di grandezza), quindi figuratevi come ci lascia interdetti leggere tutte queste ricette che chiosano con un sonoro punto interrogativo al peso della farina.
Dopo mille permutazioni e ragionalemnti, dopo varie proporzioni e foglietti, e dopo aver consultato la qualunque, mi sono rammentata di una ricetta di mia mamma pubblicata una decina di anni or sono indovinate dove? Qui sul blog 🙄
No, non pensate che mia mamma abbia deviato dall’usanza delle signore marchigiane di non dirvi il peso della farina manco a cannonate, ma io, la scaltra e furbetta Vaniglia, all’epoca, una volta imbarcatami nell’impresa (che poi tanto impresa non è perchè la ricetta è velocissima), che non ti peso la farina per dare un’idea anche grossolana ai posteri?
Ecco dunque che nella collazione generale di tutti i foglietti autografi, i libri di una volta, i link e con l’imbeccata che arriva dal passato della sottoscritta, vi decodifico la ricetta di oggi.
Con una nota che vorrei condividere con voi e in particolare i marchigiani che leggono (oppure tutti coloro che fanno le “loro” castagnole e hanno voglia di condividere le loro modalità): le castagnole comme il faut da noi devono essere “cave”, ovvero vuote dentro, ma a me nonostante si gonfino e diventino belle cicche e morbide completamente vuote non vengono mai.
La ricetta della tradizione, che è quella a cui mi sono attenuta, vuole che il lievito utilizzato sia quello in polvere per dolci (ecco perchè vi dico che sono velocissime!), ma confesso che qua e là ho trovato anche delle versioni che uniscono al lievito in polvere anche una parte del lievito di birra e che consigliano un riposo dell’impasto (cosa che io lavorando esclusivamente con lievito istantaneo non ho fatto).
Che mi dite in proposito? Avete delle imbeccate per me? Che lievito usate voi per i vostri fritti? Ma soprattutto quanta farina mettete? ;-P
Vi lascio intanto la “mia” ricetta, così avete una base, aspetto vostri suggerimenti e già vi ringrazio per la lettura ma soprattutto per tutto il materiale che con un mezzo o un altro mi avete già mandato!
Castagnole marchigiane al miele
ingredienti per 20-24 castagnole
4 uova
4 cucchiai di zucchero
4 cucchiai di olio extravergine d’oliva
4 cucchiai di Mistrà*
la scorza grattugiata di un limone non trattato
Farina quanta ne raccoglie (nel mio caso circa 350 g tipo 00)
1 cartina di lievito (16 g – mia mamma fa 15 g e 1 g di bicarbonato, mix che mi convince molto per questo tipo di preparazione, anche più sbilanciato sul bicarbonato secondo me…)
Olio per friggere (o strutto)
Abbondatente miele per finire (io ho usato il miele di Melata di Giorgio Poeta)
Montate le uova con lo zucchero fino ad ottenere un composto chiaro e spumoso, aggiungete montando l’olio e il mistrà e in ultimo, mescolando, la farina e in ultimo il lievito, fino ad ottenere un composto morbido ed elastico da lavorare sulla spianatoia.
Lavoratelo sulla spianatoia (io mi sono aiutata con un po’ di olio) formandovi dei bastoncini larghi un paio di cm che taglierete poi della lunghezza di 3-4 cm.
Friggete subito in padella “a fiamma viva ma non molto aggressiva, cullando” (dice il libro ;)). Io li o girati a metà cottura in modo da farli dorare su ambo i lati, per un totale di 3-4 minuti.
Scolate sulla carta paglia e condite in un grande piatto con il miele.
“Mangiate fredde in giornata con del Vin Santo o Moscato”
Il Mistrà è un liquore secco di origine contadina dal sapore forte a base di anice che è quasi impossibile non trovare nella dispeso di ogni famiglia marchigiana. Si usava e usa ancora dalle mie parti nei dolci (mia zia diceva che favorisce la lievitazione)e per correggere il caffè. Per chi non lo ha o non. può reperirlo si può sostituire cn altro liquore secco o forte e affine, come per esempio l’anisetta, o anche un buon gin. Una versione meno ortodossa di questa ricetta potrebbe essere con Cointrau e scorza di arancia al posto del limone…
I libri consultati per questa ricetta sono:
- ANTOLOGIA DELLA CUCINA POPOLARE,COMUNITA’ MONTANA ALTA VALLE DELL’ESINO
- La cucina marchigiana tra storia e folclore, di Nicla Mazzera Morresi, Anniballi Editore, 1987
- Marche in bocca, di Igino Righi, Vespro Edizioni, 1979
Emanuela Lupi
Ma ciaoooooooooooooo!!!!
Ma che belloooooo!!!!
Allora la Gina le faceva le castagnole fritte, ma, rustica com’era (o forse perché noi siamo del Nord ahahaha) non usava il miele per rifinirle sopra (non credo nemmeno lo zucchero a velo, forse perché non faceva in tempo! ehehe); io da qualche parte dovrei avere anche un altro foglietto stropicciato, ma non sono riuscita a recuperarlo… Quindi io che ti ho portato bostrengo e bigné nun c’avevo capito ‘na mazza.. Ho letto ”foglietti, libri vecchi di cucina e nonne” e mi sono fiondata alla ricerca del materiale! Vabbè lassamo sta!
La ”regina” delle castagnole dopo che nonna se n’è andata è diventata mia sorella che assieme a madre si metteva a friggere pagnotelle a manetta durante il carnevale.. Io ho sempre avuto un po’ di timore e remore, un po’ come per la pizza (che non ho mai fatto) e il mascarpone… Tocca che rimedio! Che ne dici se riparto da qui?! da te? <3 .
Ah! Tu fatti prendere da tutti i raptus possibili e scrivi scrivi scrivi che io son solo che felice di venire qui, leggerti e sproloquiare….
Ti voglio bene.
Manù.
rossella
Manù ma mi ero persa per strada la risposta a questo commento!
A questo punto avrei una domanda: tua mamma e tua sorella, e/o in generale dalle parti tue usano/usate lievito in bustina o lievito di birra? (E in ogni caso se trovi quel foglietto… 😍😍😍)