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Vaniglia — Storie di cucina

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Io, l’acqua, il parco e la pasta

7 Dicembre 2012 Lifestyle

Se dico ad amici e parenti, ed anche
alcuni colleghi «domani sono alla Majella», in linea di
principio quasi nessuno batte ciglio.

E questo lo devo ad uno degli aspetti
che amo di più del mio lavoro: il contatto con la natura (in
alcuni casi: non sono sempre su cime rocciose, in lande
desolate o boschi incontaminati, anzi direi che è più
probabile che mi trovi in una scrivania e davanti ad un pc entrambi
molto romani), e la fortuna di dover fare sopralluoghi in aree
verdi protette o aree parco.
Ma quando precisamente due settimane fa
mi sono svegliata alle sei di mattina, ho preso un treno
metropolitano, e poi un interregionale fino a Chieti, e da lì
sono stata «traslata» in automobile fino a Fara San
Martino, nonostante fossi diretta nel Parco della Majella (passando
tra l’altro nel bel mezzo di quello del Gran Sasso), l’architetto e
paesaggista che è in me stava (più o meno) schiacciando
un pisolino. Era la foodblogger che se ne stava viva e vegeta
inchiodata al finestrino del treno sferruzzando.
Il tutto era iniziato almeno un mese
prima, dopo aver ricevuto la mail di Anna.
Una mail così spontanea ed
elegante in cui venivo invitata, se per me fosse stato interessante,
allo stabilimento Delverde, e alla quale io ho risposto senza
pensarci due volte, tornata in un attimo bambina alla gita scolastica
ma adattata (quest’ultima) ai sogni della (cresciuta) foodblogger.
Prima di accucchiare gli impegni di
entrambe, io ed Anna abbiamo impiegato un po’, e alla fine abbiamo
optato per un venerdì di fine novembre.

Io, trenomunita, gomitolodilanamunita e
macchinafotograficamunita, mi sono apprestata alle mie 4-5 orette di
viaggio totali (all’andata) e alle altrettante di ritorno, veramente
con l’entusiasmo di una bambina alla prima gita, e quell’entusiasmo è
stato ricambiato, forse raddoppiato, dall’accoglienza che ho avuto a
Fara San Martino.

L’azienda pastaia infatti, non è
che si trovi proprio «ad un tiro di schioppo» dalla
città, anzi, un po’ come la parte più avventurosa del
mio lavoro di cui vi parlavo sopra, all’interno di un area protetta,
ovvero nel già citato Parco della Majella.
Questo perché (cosa che ho
scoperto solo in gita) la pasta Delverde si fa con l’acqua pura della
sorgente del fiume Verde.

Appena arrivati sono sono stata
accompagnata (per «riprendermi» un po’) in foresteria.
Entro. Ambiente ampio, finestre grandi,
infissi in legno e doppie altezze. Lo spazio è pervaso di
odore di soffritto. «Di mamma», come lo ha definito una
mia amica qualche giorno dopo mentre le raccontavo. Salgo le scale.
Sorrido tra me e me. «Sono a casa». Penso.
Mi do una rinfrescata e scendo. Mi
portano subito un bicchiere di acqua che sgorga da una fontanella lì
vicino, fuori della foresteria. «E’ del Verde» Mi spiegano
orgogliosi.
Non mi sento affatto stanca. Sono quasi
le 13 e ci prepariamo per la visita guidata dello stabilimento.
Tre persone solo per me: arrossisco
ancora solo all’idea, e per quanto mi sono sentita onorata.
Ci mettiamo i camici e i berretti. Io
inforco gli occhiali. La macchina fotografica la posso tenere in mano
(fììììuuu!), la custodia va contenuta al
di sotto del camice. Nel complesso, vista ad un 2-3 metri di
distanza, sono un vero mostro: tutta bianca (pure la faccia, come di
default, salvo le occhiaie, di default pure loro ma un tantino
accentuate dal poco sonno e dalla sveglia presto), capelli zero in
quanto tutti raccolti in cuffietta, occhialuta e con bozzo laterale
di custodia della macchina fotografica che non ne volava sapere di
starsene buona ed ogni tanto spuntava dal camice.
Facciamo tutto il giro. Marco,
l’ingegnere di produzione, mi spiega tutti i processi, e Silvia,
Responsabile della qualità mi parla dell’acqua, della
selezione degli ingredienti a partire dalle semole.
Mi fanno vedere le trafile. E’ uno dei
momenti più belli. Avete presente la mitica Pasta Simac ??? Beh, è
come stare in una grande, enorme pasta Simac. E ve lo assicuro, è
meraviglioso!
Son lì che mi guardo le trafile
al bronzo e sono felice.

Dev’essere per questo gruppo di
ragazzi. Tutti giovani entusiasti ed estremamente preparati.
(«Innamorati del proprio lavoro», come ho detto a mamma
la sera stessa, ore 21, mentre raccontavo a voce un po’ troppo alta
ancora per l’emozione della giornata camminando avanti e indietro su
una banchina di Roma Tiburtina aspettando il mio ultimo piccolo treno
per casa..). Guardo Silvia, che con il suo pancione ormai avanti
nella gravidanza si è fatta tutto il giro con noi (e l’ora di pranzo è
passata da un pezzo, sono ormai le due del pomeriggio), che mi ha
seguita passo passo, che paziente ha risposto alle mie domande sulla
qualità degli ingredienti, precisa, scrupolosa, entusiasta, e
penso a lei che verifica le semole che poi finiscono sulle tavole di
mezzo mondo (o tutto?) e penso anche che non ci sarebbe al mondo
persona più azzeccata (sì, è la mia cocca, lo
ammetto! ;-P). Guardo Marco, e l’orgoglio con cui mi fa vedere, a
perdita d’occhio (e non è un eufemismo, lo giuro), la macchina
che produce la sfoglia per le lasagne, tutta un unico pezzo per
cento, duecento metri.

Guardo Alessia, l’efficientissima
Alessia, e penso che fortunata che sono ad essere qui, e che non
sarò mai abbastanza precisa nel riproporre fedelmente tutte le
preziosissime informazioni in merito al processo produttivo che mi
sono state trasmesse. Mi sento come un messaggero monco.
Però una cosa mi è
chiara. E non ci sono dubbi. Non è un concetto che va trattenuto
a memoria, ma che si percepisce subito: pochi ingredienti, alta qualità,
cura maniacale. Mi sembrava quasi di stare nella mia cucina! Acqua
semola, impasto trafilatura. Mi hanno fatto vedere tutte le paste in
produzione in quel momento, Lunghe, corte, le minestrine, le lasagne.
Abbiamo assaggiato e annusato la pasta ancora non essiccata, ancora morbida.

Quello che contraddistingue la pasta
Delverde infatti, mi spiegano, è il processo di lenta essiccazione (oltre alla trafilatura al bronzo, e alla scelte di ingredienti di
qualità), che è uno dei punti cruciali della produzione della pasta, e, non so se voi lo sapevate ma io no, esiste un
trucchetto per valutare la qualità della pasta in fase di
cottura: più l’acqua rimane limpida una volta «buttata
la pasta», più quest’ultima è di qualità. Questo perché il glutine, che è la più
importante sostanza proteica presente nella pasta, ha la proprietà
di “trattenere l’amido” e le altre sostanze nutritive in
essa contenute e di non disperderle nell’acqua di cottura. Più il
grano duro è di qualità, maggiore è la quantità
del glutine.

Altra dritta: il colore. Il colore
della pasta tende a scurire a seguito di una essiccazione
«accelerata»: l’essiccazione lenta a cui accennavo sopra (migliore dal punto di
vista della digeribilità in quanto le temperature di
essiccazione elevate causano la denaturazione delle proteine
contenute nella pasta) si riconosce dal colorito «sano»,
paglierino, non biscottato a causa della reazione di Maillard.
Ora risparmio a tutti mie divagazioni nel campo della chimica: la sottoscritta ha studiato greco, e ammette che in chimica è sempre stata un mezza calzetta… Magari se avete domande specifiche nel merito possiamo sempre chiedere agli amici Delverde… ;)

Insomma, dicevamo. Mi sono vista tutta e dico tutta la produzione della pasta, dall’impastamento (anzi, dal’immissione delle semole), alla trafilatura all’essiccamento al confezionamento, e la cosa mi ha reso veramente euforica.
Uscire da lì poi alle 14,30 e rientrare nella foresterie dove ci aspettavano ben due succulenti primi di pasta, preparati dalla signora Rita, più dolci e chiacchiere a tema, è stato il migliore “pranzo al sacco” di gita che abbia mai fatto in vita mia! ;)
Sembrava veramente un pranzo in famiglia.
E a questa famiglia di gente in gamba che lavora io non posso fare altro che dire grazie.
Vi auguro di produrre tanta ma tanta pasta della qualità che voi sapete, e soprattutto spero di rivedervi presto.
Grazie ad Anna, Olindo, Rita, Alessia, Silvia e Marco (nell’ordine di “apparizione” alla mia vista).

Ultima, importantissima cosa: questo post non è stato in alcun modo “telefonato”. Nessuno mi ha chiesto nulla, anzi io avevo subito messo le mani avanti (sempre timorosa di essere “tirata per la giacchetta” più o meno consapevolmente e a fini promozionali, in qualità di foodblogger) fin dalla prima mail: “vengo a trovarvi senza impegno”.
Il fatto però è che quel venerdì è stato per me straordinario, e che il racconto c’era e non potevo certo tenermelo per me, e soprattutto le persone c’erano, e la pasta e i suoi segreti hanno costituito per me una ancora delle tante, spero, qui chez Vaniglia, “Storie di cucina”…

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Categories: Lifestyle Tags: amici, chiacchiericcio

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12 Commenti

  1. Kittys Kitchen

    7 Dicembre 2012 at 11:46

    Avendo metà famiglia abruzzese la del verde la conosco molto bene, ma non sono mai andata nello stabilimento. Interessantissimo post!

    Rispondi
  2. Lucia

    7 Dicembre 2012 at 12:34

    Che bella esperienza, anch'io adoro curiosare nel "dietro le quinte" tempo fa ho portato la mia bimba a vedere la trasformazione del grano in farina presso un mulino che purtroppo aveva ben poco a che vedere con quello del famoso Mugnaio che imperversa in tv con la sua gallina Rosita e la vecchia macina in pietra…però è stato interessante lo stesso!! Baci

    Rispondi
  3. Serena | SereInCucina

    7 Dicembre 2012 at 13:26

    È bello sapere che ci sono persone che lavorano bene e che cercano di avere una clientela attenta, e che provano a farsi conoscere anche in questi modi. È bello ed è giusto, ed immagino quanto sia stato bello per te. Un bacino, Sere

    Rispondi
  4. franci

    7 Dicembre 2012 at 14:05

    Esperienza interessante e che fantastici paesaggi!

    Rispondi
  5. rossella

    7 Dicembre 2012 at 14:17

    E' stato bellissimo, sì!

    *lucia:
    guarda, nel caso Delverde invece quello che ho visto è stato molto "artigianale" rispetto a quello che mi aspettavo. Altro elemento che mi ha colpita tantissimo.
    Dicevo con Patù che dovrebbero organizzarvi gite scolastiche, ma forse già lo fanno, non so… :)

    *serena:
    sììì, esatto, erano molto "a mia immagine e somiglianza"! Ci siamo capiti al volo, ed è stato bellissimo..

    Rispondi
  6. laura

    7 Dicembre 2012 at 18:38

    Cara Rossella, hai così visitato i miei paesaggi, respirato la mia aria e mangiato la mia pasta!Hai visto come è suggestiva la posizione dei 'nostri' amati pastifici sotto la montagna? Tutta Fara S. Martino è bella e per me ha rappresentato il luogo delle gite fuori porta con i compagni di classe; che bello il tuo articolo hai veramente restituito l'idea di quei luoghi così come sono: 'maestosi' e 'riservati' allo stesso tempo. Grazie mille e un grande bacio!

    Rispondi
  7. laura

    7 Dicembre 2012 at 18:41

    Si si le fanno le gite scolastiche di qualunque ordine: perché io ricordo di essere andata alle elementari e anche alle medie è un orgoglio molto forte quello che ci lega ai nostri pastifici!

    Rispondi
  8. Anonimo

    7 Dicembre 2012 at 21:25

    che esperienza vaniglia! certo che, vuoi per come scrivi, vuoi per come fai le foto , per un attimo mi è sembrato di stare lì con voi. leggendo il tuo blog, devo ammettere, che sto cambiando modo di fare la spesa e cucinare…grazie vaniglia .ester

    Rispondi
  9. Valentina

    8 Dicembre 2012 at 18:19

    *vani! che magnifico racconto, foto emozionanti e poi che bello leggere tra i commenti che, grazie a quello che ci trasmetti, alle persone venga il desiderio di cambiare modo di fare la spesa e cucinare. vaniglia è sempre uno spazio prezioso, pieno di cura e coinvolgente, un posto sicuro e allo stesso tempo sempre capace di creare stupore. mi sento sempre felice quando passo di qui. tanto.

    Rispondi
  10. rossella

    8 Dicembre 2012 at 18:28

    *laura:
    che bello aver restituito il senso di un luogo che visitavo per la prima volta.. E l'Abruzzo in generale, lo sto scoprendo di recente. Terra meravigliosa, veramente.

    *ester:
    questo è uno dei più bei commenti in 4 anni di blog. Mi ha emozionata, e non facevo che raccontarlo a casa. Sì perché io credo veramente tanto nel modo (e nel senso) del cucinare e delle sue ricadute, dalla famiglia all'ambiente!
    Che onore, e che responsabilità questa. ;-P Spero allora di fare sempre meglio, e, quando vuoi, scrivimi anche tu del tuo modo di cucinare, chissà che anche io non cambi il mio, di modo di fare la spesa grazie a te! ;)

    *Vale: hai visto che bello? Che onore. E come farei senza i tuoi commenti? COME??? ;-)

    Rispondi
  11. Anonimo

    9 Dicembre 2012 at 09:23

    Che bella esperienza hai vissuto, complimenti per l'emozione che trasmetti in quello che scrivi. Valeria

    Rispondi
  12. waseem

    6 Maggio 2015 at 06:19

    nice

    Rispondi

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